Atti intimi è un omaggio alla poesia e alla canzone, generi che sempre ho visto molto affini alla pittura, sia per “immediatezza” nella fruizione, sia per la capacità di suscitare emozioni e sensazioni, alla pari di un dipinto. Anche dal punto di vista tecnico non trovo molta differenza tra scrivere una poesia/canzone e dipingere un quadro. In un dipinto i colori si accostano, si sovrappongono, si “coprono”, si diluiscono, cambiano forma; così come si accostano, si cambiano e si assemblano le parole – per dare alla poesia o alla canzone – quella “personale” visione del mondo e delle cose. La poesia e la canzone sono visioni, descrizioni, espressione di sentimenti ed immagini attraverso le parole. Stessi elementi che si trovano in un dipinto. Perché allora queste opere? Che senso hanno questi colori, queste forme, per rappresentare parole già rappresentate? Lungi da me l’idea di dare colori e forme per spiegare le parole dei poeti/cantautori. Una poesia/canzone può ritenersi tale quando il poeta riesce a trasmettere, attraverso le parole, immagini, colori, sensazioni. Per cui non ha nessun senso riprodurre solo per tradurre su tela. Non è la prima volta che “rischio” con azioni di questo tipo: spesso scelgo di rischiare perché nella Vita come nell’Arte il rischio pretende la sua parte. E mi piace rischiare da “eretista”, rifacendomi alla lettura che Giuseppe Vuolo ha fatto del romanzo “L’Eretista”, appunto, dell’amica Chiara Daino, anche lei presente in questo progetto con due opere. Il primo “rischio”: amalgamare nella stessa superficie risultati visuali/verbali differenti, cercando così di stratificare la percezione finale. Un lavoro fatto in passato attraverso le xerografie, le fotografie, immagini “videografiche”, trattate elettronicamente e plasmate in un immagine unica dove, come spiega Carlo Branzaglia, nasce «un dialogo che coinvolge da un lato il segno libero, puro, “pittorico”, manuale insomma; e dall’altro l’immagine citata, reiterata “decorativa”. Dove per pittorica si intende la forma nata dal coordinamento psico-fisico espresso dalla pennellata; e per decoratività la volontà di estetizzare l’ambiente attraverso interventi che suggestionano i nostri sensi. Perché ricordiamolo l’estetica è la scienza dei sensi». Secondo rischio: in “Atti intimi” la stratificazione è più concettuale che visiva. Lo “strato” iniziale è la poesia, la canzone (o parte di esse), con il presupposto di dare una continuazione, attraverso il colore, per aggiungere uno spazio altro alle parole dei poeti/cantautori; interpretando quello che io “vedo” e “sento” nella lettura/ascolto. Una sorta di restituzione e di riflessione “intima”, nella quale il limite, tra forma e parola, è scardinato e ricostruito a vantaggio delle tre “arti”. Sì! Il limite tra le arti distrugge l’arte stessa e abolendo i confini: ritorna la sinestesia che opera. Il colore fine a se stesso, seppur ingrediente necessario nella pittura, non è, e non può, essere l’unico. Ogni pennellata è accompagnata da un proprio bagaglio culturale imprescindibile, dal quale non possiamo esimerci. In questo caso è accompagnato da “parole”, prese a prestito dai poeti/cantautori. Ogni opera è un “atto intimo”, dove il dialogo tra la parola, la materia e la pennellata si materializzano in una sorta di nuova “frontiera”, dove tutte le azioni fluiscono e confluiscono.