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    Holmes e Watson giungono negli Abruzzi pochi mesi dopo uno dei più disastrosi terremoti della storia del Paese, quello di Avezzano, con oltre trentamila morti, per supportare i RRCC nella ricerca di una nobildonna inglese scomparsa. Quello che sembra dapprima un ordinario caso poliziesco si complica tuttavia, a causa dell’incombente conflitto contro gli imperi centrali, di cui il giovane Regno è peraltro formalmente alleato. Il contesto geopolitico assume rilievo determinante a causa della patologica infedeltà di una nazione, certo non paragonabile, come diceva il cancelliere von Bülow, ad una moglie fedele cui si possa concedere un giro di valzer con un cavaliere. Un comportamento disinvolto è del resto auspicato da Gabriele d’Annunzio, che favorisce l’Inghilterra e la Francia, risultando il principale sostenitore di un’alleanza con le potenze dell’Intesa. Molti soffrono, pochi lucrano grazie alle possibilità offerte dalla ricostruzione post terremoto e dalla mobilitazione. Nuove terribili armi fanno il loro debutto tra i monti in fiore degli Appennini, ma una in particolare si rivelerà decisiva per la “buona battaglia” che un Maresciallo dei RRCC combatte: contro avversari esterni e nemici interni. Detta così, parrebbe la trama di un giallo che si intrecci con una spy story, ma il Vate vivacizza la scena, con la propria brillante figura di uomo di cultura, che all'azione affianca l'introspezione, al dinamismo aggiungendo il pepe del gioco intellettuale e della liaison amoureuse.
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    W l’amore Alalà!

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    Alle 14.30 dell’11 settembre del 1919 Gabriele d’Annunzio già dormiva; era crollato quando la coca aveva esaurito il suo effetto eccitante ed era subentrata la fase down. Era nervoso e respirava nel sonno con una specie di sibilo fioco a traverso le gengive, il suo era un dormire agitato e malsano, giaceva su una branda lacera ed era preda di allucinazioni, anche perché aveva la febbre alta. I maledetti camion che avrebbero dovuto trasportare gli uomini del suo improvvisato esercito tardavano a giungere. Comunque stesse, domando la propria carne miserabile, aveva onorato l’impegno coi “Giurati” ed era giunto puntuale là dove s’era convenuto. Attendeva ora insieme ai Granatieri, orgogliosi rappresentanti del corpo militare più antico del Regno, che scalpitavano per tornare a Fiume di dove erano stati cacciati da un ingiusto verdetto. Aperti gli occhi, la prima cosa che vide fu un fresco grappolo d’uva ch’era stato posto per Lui in un piattino su di una sedia, ma aveva lo stomaco sotto sopra e non ne provò dapprima desiderio. Mise i piedi a terra, guardò quindi nuovamente quegli acini, si nascondevano sensuali dentro il loro involucro in un viluppo femminino. Pensò alla voluttà del separare acino da acino, nella massa aderente come in certe gonne il corpo e all’umidità viscosa del frutto di Leila dopo il piacere. Decise infine che gli ricordavano i suoi capezzoli, così ne succhiò qualcuno, piluccando appena quei frutti che lo rinfrescarono senza tuttavia domarne l’arsura. Vestitosi scese in strada, si sorprese perché era buio, alzò lo sguardo al cielo, la notte era stellata.

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