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    Di lì a poco sarebbe piovuto Alfredo è un giovane giocatore di pallacanestro, dalla sensibilità esasperata e dalla carriera terribilmente discontinua. Un giorno incontra Marco, un ragazzo da lui molto diverso, delicato e forte allo stesso tempo, semplice fino all’estremo eppure in grado di insegnargli molte cose, di farlo entrare senza quasi accorgersene in un solco positivo di gioia esistenziale e di continuo progresso. I due ragazzi aprono un jazz club a Chieti, la città di Alfredo, e col passare dei mesi e degli anni, attraverso il procedere del loro lavoro comune, della carriera sportiva e gli studi di Alfredo ed altri avvenimenti significativi, la loro unione diventa fortissima, quasi un inno, appena mormorato eppure potente, alla vita e al suo grande mistero da onorare a tutti i costi.
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    Il patto tradito

    14,25
    Il patto tradito 18 dicembre 1979. A Chieti si apre il processo a Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner, Luciano Nieri, Nabil Kaddoura e Abu Anzeh Saleh, implicati nella vicenda dei missili di Ortona. 2 agosto 1980. Un ordigno contenuto in una valigia abbandonata viene fatto esplodere nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna, causando 85 morti e più di 200 feriti. Si tratta di due fatti all’apparenza slegati, ma è davvero cosi? Alcuni elementi sembrano evidenziare un inquietante nesso di causa-effetto. E se fosse stato proprio l’esito del processo a innescare la strage? A partire da questo interrogativo, Marino Valentini, riapre una pagina scottante della recente storia d’Italia; ripercorrendo gli anni di Piombo, l’attività stragista e gli attentati che li hanno segnati – dalla strage di Bologna a quella di Ustica, di piazza Fontana e piazza della Loggia, passando per il sequestro Moro – rimesta nei più torbidi Segreti di Stato alla ricerca di una verità che non ci è mai stata svelata.
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    La verità storica delle origini mediorientali di Roma emerge con evidenza indiscutibile da molteplici dati documentarî che si legittimano vicendevolmente in direzione univoca: fra questi merita particolare attenzione il celeberrimo ratto delle Sabine, la cui contestualizzazione storica è sempre stata per tutti gli studiosi un rompicapo più o meno spassoso, mentre nel presente studio non ha bisogno di spiegazioni perché si spiega da sé, stante il fatto che i rapitori romani erano profughi, tutti di sesso maschile perché soldati, sopravvissuti alla disfatta del loro esercito sconfitto dal re degli Assiri e necessitati a non far più ritorno in patria per non rendersi riconoscibili come prigionieri/ schiavi del medesimo. Dal capitolo dedicato ai rapporti che intercorrono fra linguistica e scienza - con la punta di diamante costituita dalla seducente (e inquietante) identificazione socratica di tutte le scienze con il logos che le rende comunicabili - si evince con chiarezza che il metodo adottato nella presente silloge di ricerche - pur estranee all’area delle cosiddette scienze esatte - è esemplato su quello di Einstein, secondo il quale la scienza utilizza la conoscenza (knowledge) come materia inerte, mentre affida le proprie potenzialità creative all’immaginazione (imagination), che non è mai invenzione di fandonie e comunque fa tutt’uno con la tradizionale ipotesi scientifica correttamente intesa. Si richiama la cortese attenzione del lettore, oltre che sul capitolo puškiniano - ricco di geniali aperture critiche - a firma di Stefano Di Virgilio, sui brevi studi della terza sezione, dedicati a quattro toponimi del nostro Abruzzo e facili da interpretare anche come spie della inadeguatezza ermeneutica di certa erudizione locale, animata da sincera passione ma povera di autentica imagination. Fra gli altri interventi brevi, che condividono il rigore metodologico con le restanti trattazioni estese, merita un’attenzione particolare lo studio etimologico della parola casa, che sviluppa a titolo paradigmatico un flash conclusivo del 1°capitolo e getta luce apodittica sulla facies aramaica di Roma/Rum rinviando inoppugnabilmente - con evidenza lapalissiana - alla parola aramaico-palestinese kasâ ed obbligando a gettare alle ortiche tutte le etimologie escogitate in merito dai massimi esperti del settore. Non va tralasciata, infine, la luce un po’ spietata che nel capitolo su Brecht la traduzione hoelderliniana dell’Antigone sofoclea getta sulla scarsa conoscenza della lingua greca da parte di Goethe e Schiller.
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    Atti intimi

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    Atti intimi è un omaggio alla poesia e alla canzone, generi che sempre ho visto molto affini alla pittura, sia per “immediatezza” nella fruizione, sia per la capacità di suscitare emozioni e sensazioni, alla pari di un dipinto. Anche dal punto di vista tecnico non trovo molta differenza tra scrivere una poesia/canzone e dipingere un quadro. In un dipinto i colori si accostano, si sovrappongono, si “coprono”, si diluiscono, cambiano forma; così come si accostano, si cambiano e si assemblano le parole – per dare alla poesia o alla canzone – quella “personale” visione del mondo e delle cose. La poesia e la canzone sono visioni, descrizioni, espressione di sentimenti ed immagini attraverso le parole. Stessi elementi che si trovano in un dipinto. Perché allora queste opere? Che senso hanno questi colori, queste forme, per rappresentare parole già rappresentate? Lungi da me l’idea di dare colori e forme per spiegare le parole dei poeti/cantautori. Una poesia/canzone può ritenersi tale quando il poeta riesce a trasmettere, attraverso le parole, immagini, colori, sensazioni. Per cui non ha nessun senso riprodurre solo per tradurre su tela. Non è la prima volta che “rischio” con azioni di questo tipo: spesso scelgo di rischiare perché nella Vita come nell’Arte il rischio pretende la sua parte. E mi piace rischiare da “eretista”, rifacendomi alla lettura che Giuseppe Vuolo ha fatto del romanzo “L’Eretista”, appunto, dell’amica Chiara Daino, anche lei presente in questo progetto con due opere. Il primo “rischio”: amalgamare nella stessa superficie risultati visuali/verbali differenti, cercando così di stratificare la percezione finale. Un lavoro fatto in passato attraverso le xerografie, le fotografie, immagini “videografiche”, trattate elettronicamente e plasmate in un immagine unica dove, come spiega Carlo Branzaglia, nasce «un dialogo che coinvolge da un lato il segno libero, puro, “pittorico”, manuale insomma; e dall’altro l’immagine citata, reiterata “decorativa”. Dove per pittorica si intende la forma nata dal coordinamento psico-fisico espresso dalla pennellata; e per decoratività la volontà di estetizzare l’ambiente attraverso interventi che suggestionano i nostri sensi. Perché ricordiamolo l’estetica è la scienza dei sensi». Secondo rischio: in “Atti intimi” la stratificazione è più concettuale che visiva. Lo “strato” iniziale è la poesia, la canzone (o parte di esse), con il presupposto di dare una continuazione, attraverso il colore, per aggiungere uno spazio altro alle parole dei poeti/cantautori; interpretando quello che io “vedo” e “sento” nella lettura/ascolto. Una sorta di restituzione e di riflessione “intima”, nella quale il limite, tra forma e parola, è scardinato e ricostruito a vantaggio delle tre “arti”. Sì! Il limite tra le arti distrugge l’arte stessa e abolendo i confini: ritorna la sinestesia che opera. Il colore fine a se stesso, seppur ingrediente necessario nella pittura, non è, e non può, essere l’unico. Ogni pennellata è accompagnata da un proprio bagaglio culturale imprescindibile, dal quale non possiamo esimerci. In questo caso è accompagnato da “parole”, prese a prestito dai poeti/cantautori. Ogni opera è un “atto intimo”, dove il dialogo tra la parola, la materia e la pennellata si materializzano in una sorta di nuova “frontiera”, dove tutte le azioni fluiscono e confluiscono.
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    Da Ballantini a Sforza

    11,85
    Massimo Pasqualone è alla continua ricerca del “bello”; è al concetto di bellezza che dedica infatti gran parte delle sue riflessioni. Una bellezza narrata e ospitata dall’arte e che non è la banale perfezione che colpisce i sensi ma è bellezza della verità, testimonianza di eternità, porta dell’infinito. Bellezza anche della sofferenza perché il dolore è umano, ci ricorda la nostra caducità, ci purifica e ci sublima ponendoci di fronte alla nostra umanità che è un frammento dell’eternità. È la bellezza che Pasqualone cerca nei poeti, nei pittori, negli scrittori, negli scultori, in tutti coloro che in qualche forma attingono alla fonte dell’arte; è essa che celebra e insegue nei suoi scritti critici e nelle sue poesie. La ricerca dell’altro nel sé, della totalità nel frammento, la malinconia dell’anima che “si frantuma” e pure sorride alle avversità della vita; il critico, il poeta, il filosofo sono solo tante sfaccettature di un uomo che vive appieno la sua umanità. Come dice Dario Ballantini “Pasqualone ha capito che forse non c’è limite al cercare e che proprio questo ci fa differenti dal resto del creato”.
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    Il poema del melograno

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    Il poema del melograno di Giarmando Dimarti rappresenta un unicum nel panorama della poesia italiana contemporanea, quasi un’anomalia, dal momento in cui la voce lirica di Dimarti, in queste pagine, diviene ricerca storica ed antropologica, cammino all’interno della tradizione e guida per un sicuro viaggio dentro le mai abbastanza indagate vie del dialogo interculturale. Il poeta chiede al melograno, pianta antica dell'Oriente e simbolo di Granada, di raccontargli la grande storia araba nella conquista e nella civilizzazione della Spagna medievale, di cui l'Alambra resta segno tangibile, soprattutto per ciò che riguarda la danza. Particolare la traduzione a fronte del testo, dall’italiano all’arabo.
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    Oltre

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    Oltre Due storie parallele si intrecciano e a tratti si confondono fino a dar vita ad un unico avvincente disegno dal finale a tinte forti pieno di colpi di scena. Una storia d’amore e di passione, che nasce come virtuale e che riesce ad oltrepassare i limiti dell’etere per diventare quanto di più reale possa esistere, si interseca con una vicenda di grande sofferenza dalle fosche tinte noir. La solida amicizia, l’insoddisfazione presente nella vita di molte coppie, i rapporti umani al tempo dei social network, il tradimento, la dislessia, sono solo alcune delle tematiche presenti nel libro. La poesia, come in tutte le opere precedenti dell’autrice, resta come solida presenza a fare da sfondo a questo mondo variegato in cui si rintracciano quasi tutte le sfumature del genere umano, in cui sentimenti intensi e a volte contrastanti, si intrecciano ricreando quel pot pourri di colori che caratterizza la vita nella sua essenza più intima.
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    Filippo Luigi Masci e il mistero del bambino nella ghianda di Valerio Tommaso Baldassarre - Chiaredizioni Filippo Luigi Masci, personaggio di grande cultura umanistica, filosofica e politica. Docente nel Regio Liceo “G.B. Vico” di Chieti nel 1875 e successivamente all’Università di Napoli, dove insegnò per oltre un trentennio fino al 1919, ricoprendo ruoli di grande prestigio. Fu Preside di Facoltà di Lettere e Filosofia nel 1891 e Rettore per due trienni (1893-1895 e 1903-1905). Uomo di indiscutibili qualità morali, ebbe grande autonomia di pensiero, sia in campo filosofico che in politica. Fu eletto Consigliere Comunale nel 1894 a Napoli, Deputato nel 1895 nel Collegio di Ortona per la XIX Legislatura, fu nominato al Senato nel 1913. Pur avendo idee che potevano identificarsi in un socialismo liberal-borghese di ispirazione modernistica, egli non si legò mai ad alcun partito, avendo come unico scopo non la carriera politica, ma il bene comune. Fu difensore del merito, anche se espresso in forma di paternalismo burbero verso i suoi allievi, per difendere i quali interruppe anche consolidate amicizie, subendo gli strali di filosofi emergenti come Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Non esitò a mettersi in contrasto con il pensiero filosofico dominante, pur di dare la giusta importanza alla psicologia, del quale fu, in questo senso, un precursore. Dai suoi studi psicologici verosimilmente fu presa l’idea del bambino nella ghianda, che volle realizzare in un manufatto cementizio, che ancora oggi svetta sulla sua cappella funebre.
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    Il richiamo della foresta

    10,35
    GRANDI CLASSICI La serie dei “Grandi classici” si propone di far approcciare i ragazzi al mondo della lettura, attraverso degli autentici capolavori della letteratura mondiale, che proprio grazie alla loro forza narrativa, sono immortali e impressi nell’immaginario collettivo e nei cuori di milioni di lettori. IL RICHIAMO DELLA FORESTA Affidato a un brutale addestratore di cani, Buck conosce la «legge della zanna e del bastone», attraverso la quale viene picchiato selvaggiamente. Dopo varie avventure, Buck comincia a sentire «il richiamo della foresta» quindi vi si addentra, incontra altri lupi, e decide quindi di vivere li insieme al branco, di cui diventerà il capo.
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    La fine del nulla

    14,15
    Pamela, considerata “una femmina sbagliata”, odia gli abiti femminili, porta i capelli corti, adora giocare a pallone e non ama il contatto fisico. Ha seri problemi con Ludovica, la bulla che la detesta e Daniele, il compagno di scuola che la fa innamorare, per scommessa; quando Pamela scopre la verità è in preda alla disperazione. Ma è poco prima di commettere un gesto estremo che riscopre quanto invece i suoi veri affetti, in particolare quello della sorellina, possano divenire la chiave per rimarginare tante ferite. Data di uscita: 12 aprile 2024 Cliccando su acquista effettuerai un pre-ordine, il libro sarà spedito dopo la data di pubblicazione.

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